La genetica e l’ecologia danno risultati contrastanti sull’effetto dei cambiamenti climatici del passato sugli uccelli

Un nuovo articolo a cui ho lavorato è uscito su Molecular Ecology

Eleanor F. Miller, Rhys E. Green, Andrew Balmford, Pierpaolo Maisano Delser, Robert Beyer, Marius Somveille, Michela Leonardi, William Amos, Andrea Manica
Bayesian Skyline Plots disagree with range size changes based on Species Distribution Models for Holarctic birds
Molecular Ecology, Volume 30, Issue 16 August 2021 Pages 3993-4004

Abbiamo analizzato più di 100 specie di uccelli dell’emisfero Nord, scoprendo che la genetica e l’ecologia non concordano nel ricostruire come hanno reagito alle fluttuazioni climatiche del passato.

Perché è interessante? Le ricostruzioni messe a confronto nel nostro articolo (una basata su dati genetici, l’altra su modelli ecologici) sono normalmente utilizzate per valutare come le specie possono reagire all’attuale emergenza climatica.

Nel nostro studio, dimostriamo che quando confrontiamo questi due metodi in maniera sistematica per molte specie tendono a raccontarci storie abbastanza diverse. Ciò non significa che si sbagliano: metodi diversi si basano su presupposti diversi, ed è probabile che a ciascuno di essi manchi una parte piccola ma significativa dell’intera storia.

Quindi, quando usiamo questi metodi, la chiave è l’interdisciplinarietà: l’integrazione nelle analisi di diversi tipi di dati aiuta ad affrontare queste limitazioni e ottenere risultati più affidabili.

Articolo

Eleanor F. Miller, Rhys E. Green, Andrew Balmford, Pierpaolo Maisano Delser, Robert Beyer, Marius Somveille, Michela Leonardi, William Amos, Andrea Manica
Bayesian Skyline Plots disagree with range size changes based on Species Distribution Models for Holarctic birds
Molecular Ecology, Volume 30, Issue 16 August 2021 Pages 3993-4004 https://doi.org/10.1111/mec.16032

Abstract

During the Quaternary, large climate oscillations impacted the distribution and demography of species globally. Two approaches have played a major role in reconstructing changes through time: Bayesian Skyline Plots (BSPs), which reconstruct population fluctuations based on genetic data, and Species Distribution Models (SDMs), which allow us to back-cast the range occupied by a species based on its climatic preferences. In this paper, we contrast these two approaches by applying them to a large data set of 102 Holarctic bird species, for which both mitochondrial DNA sequences and distribution maps are available, to reconstruct their dynamics since the Last Glacial Maximum (LGM). Most species experienced an increase in effective population size (Ne, as estimated by BSPs) as well as an increase in geographical range (as reconstructed by SDMs) since the LGM; however, we found no correlation between the magnitude of changes in Ne and range size. The only clear signal we could detect was a later and greater increase in Ne for wetland birds compared to species that live in other habitats, a probable consequence of a delayed and more extensive increase in the extent of this habitat type after the LGM. The lack of correlation between SDM and BSP reconstructions could not be reconciled even when range shifts were considered. We suggest that this pattern might be linked to changes in population densities, which can be independent of range changes, and caution that interpreting either SDMs or BSPs independently is problematic and potentially misleading.

L’effetto dei cambiamenti climatici del passato sugli uccelli

European robin (Erithacus rubecula), picture by Michela Leonardi
Pettirosso (Erithacus rubecula), una delle specie analizzate nell’articolo.
Foto di Michela Leonardi

Abbiamo appena pubblicato su bioRxiv un nuovo preprint dal titolo: mtDNA-based reconstructions of change in effective population sizes of Holarctic birds do not agree with their reconstructed range sizes based on paleoclimates. La prima autrice è Eleanor Miller, del Dipartimento di Zoologia dell’Università di Cambridge, che ha lavorato sotto la supervisione di Andrea Manica e William Amos (anche loro con la stessa affiliazione).

ATTENZIONE: Questo articolo è un preprint, che vuol dire che non è ancora stato sottoposto a una revisione fra pari (peer-review), per il momento è stato inviato a una rivista scientifica e attende di essere valutato. E’ probabile quindi che la versione finale, dopo il processo di revisione, contenga diversi cambiamenti inclusi nuovi risultati o potenziali nuove analisi a sostegno dei risultati.

In questo articolo abbiamo studiato 102 specie di uccelli che vivono in ambienti diversi di Eurasia e Nord America, cercando di capire in che modo i cambiamenti climatici che sono avvenuti dopo l’ultimo massimo glaciale (intorno ai 21.000 anni fa) hanno influenzato la loro demografia. Infatti durante l’ultimo massimo glaciale il clima era molto più freddo, il ghiaccio perenne copriva gran parte dell’emisfero nord, e alcuni ambienti erano molto più diffusi (ad esempio la steppa e le praterie fredde) mentre altri erano molto meno diffusi (per esempio le foreste). Per questo ci si poteva aspettare una differenza nella risposta demografica di specie che vivono in ambienti diversi.

Ricostruire la demografia del passato è un compito molto difficile, non c’è un metodo che permetta di farlo in modo diretto. Quello che si può fare è usare diversi metodi che calcolano delle misure che possano darci informazioni indirette su quello che poteva essere il numero di individui in un determinato momento. Nel nostro articolo abbiamo usato due di questi metodi,  che si basano su dati diversi e assunzioni diverse, in modo da massimizzare la quantità di informazioni ricavate.

Il primo di questi approcci sono i Bayesian Skyline Plot [1], che ricostruiscono la dimensione effettiva della popolazione [2] nel tempo sulla base del DNA mitocondriale. Nonostante il nome possa trarre in inganno, questa misura non è strettamente legata al numero di individui, indica piuttosto il grado di variabilità genetica presente nella popolazione. Si basa sull’assunzione che la tutti gli individui abbiano la possibilità di incrociarsi fra di loro, e la stessa probabilità di riprodursi: in queste condizioni una popolazione con più individui ha una variabilità genetica più alta, per questo motivo le ricostruzioni della dimensione effettiva sono considerate informative sulla demografia. Tuttavia vanno interpretate con attenzione perchè possono essere influenzate anche dal grado di isolamento geografico, dalla presenza di barriere geografiche fra gruppi di individui, e da molti altri fattori. Pubblicherò fra poco un capitolo di libro su questo tema, che mette in chiaro alcuni degli errori più frequenti che si possono fare nell’interpretazione di questo genere di informazioni.

Il secondo metodo è la modellizzazione ecologica della distribuzione delle specie (in inglese Species Distribution Modelling) [3]. Questa classe di metodi associa le osservazioni di una specie con le caratteristiche ambientali o climatiche in cui vive, per ricostruire l’areale di distribuzione potenziale sia nel presente, sia nel passato (o nel futuro) quando sono disponibili simulazioni del clima di altri periodi. Anche in questo caso la dimensione dell’areale di distribuzione non è direttamente correlata al numero di individui, ma spesso si usa questa misura come proxy della demografia presupponendo che areali più grandi possano sostenere un maggior numero di individui. 

Abbiamo confrontato le traiettorie degli skyline plots negli ultimi 21.000 anni con le differenze fra gli areali di distribuzione di 21.000 anni fa e del presente. Nonostante si osservi nella maggior parte delle specie un aumento in entrambe le misure, le traiettorie delle due misure non sono correlate. Probabilmente ci troviamo di fronte a fenomeni che non sono evidenti solo sulla base delle due misure analizzate, come ad esempio dei cambi di densità di popolazione.

Le nostre analisi dimostrano che quando si parla di demografia del passato è fondamentale non considerare le informazioni tratte da un solo metodo, e ricordare che dietro ad ogni modello o misura ci sono delle assunzioni importanti che vanno testate volta per volta. La realtà è sempre più complessa dei metodi che usiamo per ricostruirla, per questo bisogna integrare diversi approcci in modo da riuscire ad avere un quadro della situazione il più completo possibile. 

Ecco le informazioni bibliografiche e l’abstract dell’articolo (in inglese). 

mtDNA-based reconstructions of change in effective population sizes of Holarctic birds do not agree with their reconstructed range sizes based on paleoclimates

During the Quaternary, large climate oscillations had profound impacts on the distribution, demography and diversity of species globally. Birds offer a special opportunity for studying these impacts because surveys of geographical distributions, publicly-available genetic sequence data, and the existence of species with adaptations to life in structurally different habitats, permit large-scale comparative analyses. We use Bayesian Skyline Plot (BSP) analysis of mitochondrial DNA to reconstruct profiles depicting how effective population size (Ne) may have changed over time, focussing on variation in the effect of the last deglaciation among 102 Holarctic species. Only 3 species showed a decline in Ne since the Last Glacial Maximum (LGM) and 7 showed no sizeable change, whilst 92 profiles revealed an increase in Ne. Using bioclimatic Species Distribution Models (SDMs), we also estimated changes in species potential range extent since the LGM. Whilst most modelled ranges also increased, we found no correlation across species between the magnitude of change in range size and change in Ne. The lack of correlation between SDM and BSP reconstructions could not be reconciled even when range shifts were considered. We suggest the lack of agreement between these measures might be linked to changes in population densities which can be independent of range changes. We caution that interpreting either SDM or BSPs independently is problematic and potentially misleading. Additionally, we found that Ne of wetland species tended to increase later than species from terrestrial habitats, possibly reflecting a delayed increase in the extent of this habitat type after the LGM.

bioRxiv 2019.12.13.870410; doi: https://doi.org/10.1101/2019.12.13.870410

Bibliografia

[1] Ho SYW, Shapiro B. 2011. Skyline-plot methods for estimating demographic history from nucleotide sequences. Mol. Ecol. Resour. 11:423–434. https://doi.org/10.1111/j.1755-0998.2011.02988.x

[2] Hawks J. 2008. From Genes to Numbers: Effective Population Sizes in Human Evolution. In Recent Advances in Palaeodemography: Data, Techniques, Patterns. https://doi.org/10.1007/978-1-4020-6424-1_1

[3] Elith J, Leathwick JR. 2009. Species Distribution Models: Ecological Explanation and Prediction Across 537 Space and Time. Annu Rev Ecol Evol Syst. 40(1):677–697. https://doi.org/10.1146/annurev.ecolsys.110308.120159

La storia genetica della popolazione femminile di Lucca

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The city of Lucca as seen from satellite. Source: Google Earth.

È appena uscito nell’ American Journal of Physical Anthropology il mio nuovo articolo The female ancestor’s tale: Long‐term matrilineal continuity in a nonisolated region of Tuscany (a pagamento), in collaborazione con Guido Barbujani, Silvia Ghirotto e Francesca Tassi, a Ferrara, e David Caramelli, Stefania Vai e altri colleghi di Firenze. Ecco un link da cui si può leggere il pdf gratuitamente.

La Toscana nord-occidentale (corrispondente all’incirca alle province di Lucca e Massa Carrara) è da sempre un corridoio di scambio tra l’Italia centrale e quella nord-occidentale. La regione fu contesa tra Etruschi e Liguri, fu poi conquistata dai Romani, e nei secoli successivi subì diversi avvicendamenti di dominatori.

In questo articolo abbiamo cercato di capire se e quando questa storia così complessa ha causato una discontinuità matrilineare nella popolazione locale. Lo abbiamo fatto analizzando una porzione del DNA mitocondriale in 119 campioni della regione, datati all’età del Rame (circa 5.000 anni fa); al periodo romano; al Rinascimento e ai giorni nostri. Abbiamo anche incluso alcune sequenze etrusche provenienti da tutta la Toscana e una località del Lazio.

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Utilizzando simulazioni al computer, abbiamo scoperto che l’ipotesi più probabile per spiegare la diversità genetica nei nostri campioni è che appartengano alla stessa popolazione, in continuità nel tempo. Questo risultato ci ha sorpreso molto: gradi simili di continuità a lungo termine sono stati osservati principalmente in zone geograficamente isolate, mentre (come abbiamo visto) la Toscana nord-occidentale è stata un corridoio di popoli.

Una possibile spiegazione di questi risultati è che i cambiamenti storici osservati nella Toscana nord-occidentale (conquiste, immigrazione ecc.) abbiano comportato prevalentemente l’arrivo di uomini dall’esterno che si sarebbero uniti con donne locali. È anche possibile che i conquistatori esterni (romani, longobardi, francesi) e la popolazione locale non si mescolassero in modo significativo perché facevano parte di gruppi sociali diversi. Qualunque sia la regione, gli odierni lucchesi sembrano essere i diretti discendenti delle donne vissute millenni fa, insegnandoci che la continuità genetica non si trova solo in comunità isolate.

Articolo

Michela Leonardi, Anna Sandionigi, Annalisa Conzato, Stefania Vai, Martina Lari, Francesca Tassi, Silvia Ghirotto, David Caramelli, Guido Barbujani
The female ancestor’s tale: long term matrilineal continuity in a nonisolated region of Tuscany.
American Journal of Physical Anthropology ; 167: 497–506. https://doi.org/10.1002/ajpa.23679

Abstract

Objectives: With the advent of ancient DNA analyses, it has been possible to disentangle the contribution of ancient populations to the genetic pool of the modern inhabitants of many regions. Reconstructing the maternal ancestry has often highlighted genetic continuity over several millennia, but almost always in isolated areas. Here we analyze North‐western Tuscany, a region that was a corridor of exchanges between Central Italy and the Western Mediterranean coast.

Materials and methods: We newly obtained mitochondrial HVRI sequences from 28 individuals, and after gathering published data, we collected genetic information for 119 individuals from the region. Those span five periods during the last 5,000 years: Prehistory, Etruscan age, Roman age, Renaissance, and Present‐day. We used serial coalescent simulations in an approximate Bayesian computation framework to test for continuity between the mentioned groups.

Results: Our analyses always favor continuity over discontinuity for all groups considered, with the Etruscans being part of the genealogy. Moreover, the posterior distributions of the parameters support very small female effective population sizes.

Conclusions: The observed signals of long‐term genetic continuity and isolation are in contrast with the history of the region, conquered several times (Etruscans, Romans, Lombards, and French). While the Etruscans appear as a local population, intermediate between the prehistoric and the other samples, we suggest that the other conquerors—arriving from far—had a consistent social or sex bias, hence only marginally affecting the maternal lineages. At the same time, our results show that long‐term genealogical continuity is not necessarily linked to geographical isolation.

Am J Phys Anthropol. 2018;1–10. https://doi.org/10.1002/ajpa.23679 

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